Herb Ritts in mostra a Roma: “In piena luce”

Prosegue fino al 21 Aprile 2014 la mostra “In piena luce”, dedicata al fotografo Herb Ritts e ospitata presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma. Organizzata dalla Fondazione Forma, in collaborazione con la Herb Ritts Foundation e Contrasto, l’esposizione è composta da molte delle più celebri immagini scattata dal fotografo statunitense scomparso nel 2002. Ogni domenica alle 12 – esclusa quella di Pasqua – si terrà, compresa nel biglietto della mostra, una visita guidata curata da Contrasto.

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Herbert Ritts (1952 – 2002) fu uno dei più stimati fotografi americani, i cui lavori si concentrarono soprattutto sul bianco e nero sulla ritrattistica. Rifacendosi alla cultura classica, come Bruce Weber si dedicò al nudo maschile e femminile con uno spiccato occhio glamour. Tendenzialmente amatoriale, all’inizio non utilizzò particolari artifici per le proprie fotografie, preferendo la luce naturale a quella artificiale. Fu influenzato da grandi fotografi del passato come Herbert List e Helmut Newton, ma grazie al suo stile semplice e minimale alcuni critici d’arte lo definiscono “il miglior fotografo degli ultimi 30 anni”. Fu anche regista.

Nella sua breve ma intensa carriera fotografò diverse celebrità, come attori, modelle, musicisti. Famosissime le sue fotografie alla cantante Madonna, di cui curò anche la copertina dell’album True Blue del 1986.

Ritts, che contrasse l’HIV, morì il 26 dicembre del 2002 a soli 50 anni per complicazioni legate a una polmonite.

Images: © Herbert Ritts / Fondazione Forma / Contrasto. Published under fair use principle.

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Il Natale nel mondo

Ad ogni città corrispondono tradizioni, mode, architetture. Nemmeno il Natale fa eccezione: ecco una suggestiva galleria di mercatini e addobbi nelle più belle città del mondo, da New York a Parigi, da Amsterdam a Stoccolma. Per scoprire come le luci e le decorazioni modificano gli ambienti rendendoli scintillanti e magnifici.

Amsterdam, Olanda.

Amsterdam, Olanda: il ponte illuminato.

Jena, Germania.

Jena, Germania: mercatini nel centro città.

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New York City: pista di pattinaggio davanti al Rockfeller Center.

New York City.

New York City.

New York City.

New York City.

New York City.

New York City.

Parigi, Francia.

Parigi, Francia: gli addobbi lungo gli Champs Elysees.

Parigi, Francia.

Parigi, Francia.

Parigi, Francia.

Parigi, Francia: l’arco del trionfo.

Praga, Repubblica Ceca.

Praga, Repubblica Ceca.

Roma, Italia.

Roma, Italia: l’albero di Natale di fronte al Colosseo.

Stoccolma, Svezia.

Stoccolma, Svezia: le strade del centro colorate a festa.

Stoccolma, Svezia.

Stoccolma, Svezia.

Vienna, Austria.

Vienna, Austria.

Vienna, Austria.

Vienna, Austria.

Pyotr Pavlensky e la flagellazione dei genitali

A volte l’arte, al servizio dell’umanità e dei diritti civili, travalica i confini della semplice performance visuale per divenire vera e propria flagellazione del corpo. È quello che è successo a Pyotr Pavlensky, artista di San Pietroburgo, che il 10 Novembre si è presentato davanti al Cremlino completamente nudo, in segno di sfregio nei confronti della polizia e del presidente Vladimir Putin, colpevole di aver recentemente varato una legge che limita i diritti degli omosessuali e punisce la propaganda addirittura con il carcere.

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L’artista russo Pyotr Pavlensky a terra, con lo scroto inchiodato

Pavlensky, dopo una breve passeggiata, si è seduto a terra e si è quindi inchiodato lo scroto al cemento, attirando l’interesse dei passanti e dei media di tutto il mondo. L’artista non è nuovo a performance scioccanti di questo tipo: nel 2012 si cucì le labbra per dimostrare la propria solidarietà alle Pussy Riot, incarcerate in seguito al loro blitz nella Chiesa del Cristo Salvatore, dove intonarono il ritornello “Madonna, caccia Putin”.

Qui di seguito vi proponiamo il video, registrato dai presenti e caricato su LiveLeak. Attenzione: le immagini sono abbastanza forti e potrebbero disturbare la vostra sensibilità.

 

Incontro con Joel Meyerowitz

Joel-Meyerowitz-01La sala è gremita, oltre 400 posti nel suggestivo Auditorium San Fedele in pieno centro a Milano. Qui in passato si sono riuniti artisti e fotografi, sono stati proiettati film di alto spessore culturale, sono state organizzate rassegne musicali con concerti di lirica. Ci sono persone di tutti i tipi e di tutte le età, accorse per ascoltare la letio magistralis di quello che ad oggi è considerato il più grande fotografo americano vivente: Joel Meyerowitz. Classe 1938, una carriera lunga cinquant’anni, unica persona ad aver fotografato Ground Zero nei giorni successivi al disastro dell’11 settembre.

Meyerowitz si presenta in abiti semplici, una giacca dalle linee asciutte, in splendida forma. Magro, alto, un sorriso entusiasta e lo sguardo solare di chi ha visto la storia e ha l’onore di raccontarla. Non gli daresti mai l’età che ha, se non ricordando le sue numerose amicizie e collaborazioni: Garry Winogrand, Tony Ray-Jones, Lee Friedlander, Tod Papageorge e Diane Arbus. Fu tra i primi a usare la pellicola a colori e a credere nel valore della fotografia, in un’epoca in cui – così racconta con sarcasmo e ironia – il colore era destinato ai pubblicitari o ai fotoamatori, e il lavoro di fotografo non permetteva neanche di arrivare a fine mese. Oggi invece i suoi scatti vengono venduti a peso d’oro, e al di là del puro valore economico è indubbio quello artistico e storico delle sue fotografie, repertori di un’America in evoluzione tra contraddizioni e patriottismi, tra simboli di decadimento e sprazzi di rinascita.

Mentre proietta i suoi lavori dal 1962 fino al 2012, in un corposo portfolio intitolato “Taking my time” (ovverosia: una raccolta misurata e attenta, senza fretta), come un attore teatrale racconta aneddoti e dispensa consigli, farcisce le immagini di dettagli e ricordi, spiega come e perchè certi scatti sono nati e, come un maestro sincero e mai austero, descrive alla platea quali sono gli elementi oggettivi che trasformano una fotografia comune in una fotografia leggendaria. Sorride quando mostra la prima foto che il suo maestro e committente Robert Frank decise di inserire in una mostra alla National Gallery di New York: un ritratto in bianco e nero molto semplice, sporcato dalla presenza di una grata in primo piano che imprigiona il soggetto. Ma proprio quella grata, elemento esteticamente disturbante ma ricco di significato, fu il motivo principale della scelta, nonché l’insegnamento primario per Meyerowitz che non è la tecnica a definire la grandezza di un’opera artistica, ma piuttosto il tocco personale e il significato recondito che l’artista vi imprime.

Nel corso della propria carriera, Meyerowitz ha attraversato molte fasi. “Dopo un certo periodo e ciclicamente,” dice, “ho sempre sentito il bisogno di cambiare e fare cose nuove. Vivo così la fotografia, come una sorta di rinascita continua”. Non tutte queste fasi sono state capite dalla critica e dagli amici. “Sul finire degli anni ’80 ho iniziato a perseguire un nuovo modo di fare fotografia, alla ricerca di una profondità degli spazi unita alla presenza in scena di persone in primo piano, il tutto grazie a fotocamere di grande formato. Quando ho mostrato queste foto ai miei amici, mi hanno detto: Joel, hai perso il tuo tocco magico. Io non la vedevo così. Sono immagini diverse rispetto alle precedenti, ma facente parte di una mia sperimentazione, il tentativo di unire gli spazi alle persone che li abitano.”

L’architettura, l’ambiente e gli spazi saranno proprio al centro delle sue più recenti immagini, quelle post 11 Settembre. Quando parla di quel giorno e di tutto quello che ne è seguito, Meyerowitz diventa improvvisamente fiero delle sue origini americane e al tempo stesso cinico nei confronti di un sistema politico che non permette libertà di espressione e limita i giovani sia economicamente che culturalmente. Le immagini delle torri gemelle distrutte e degli uomini al lavoro alla ricerca dei corpi sepolti sotto le macerie suscitano in lui commozione e rispetto. È fiero di ricordare come, a dispetto dei divieti imposti dall’allora sindaco Giuliani riguardo all’accesso a Ground Zero, alcuni detective lo abbiano “protetto”, permettendogli di penetrare nel sito e raccogliere, attraverso le sue foto, la testimonianza storica della ricostruzione. Le ultime immagini raccontano di un uomo che, all’ultimo giorno di lavoro, si sofferma ancora a cercare  reperti biologici che aiutino a identificare le vittime. E poi del binario di una vecchia linea ferroviaria che passava sotto le torri, riportato alla luce proprio dagli scavi successivi al loro crollo. “Mi piace pensare che esista sempre una speranza che le cose sepolte, all’improvviso, rivedano la luce e restituiscano al mondo cose che si credevano dimenticate”.

Nel corso dell’incontro, il fotografo si è dimostrato aperto alle domande e all’interazione col pubblico, ricordando l’importanza di portare sempre con sé una macchina fotografica (magari una Leica, proprio come la sua da cui non si è mai separato), perché “non è possibile prevedere il momento in cui accadrà qualcosa che, senza la fotografia, potrebbe addirittura non essere esistita mai”.

La conferenza termina con un lungo e meritato applauso. Ma le immagini di Meyerowitz continueranno a stupire grazie alla mostra “Sightseeing – Un sentimento della vita” che il Centro Culturale San Fedele (Via Hoepli 3/B, Milano) ospiterà fino al 30 Novembre 2013. Un modo per avvicinarsi alle immagini di questo grande personaggio, che scoprì la fotografia come destino nel lontano 1962 e che è stato testimone e narratore, nei luoghi della metropoli, dell’immensa commedia umana.

“Sightseeing – Un sentimento della vita”
Dal 28 ottobre al 30 novembre 2013 presso Centro Culturale San Fedele (Via Hoepli 3/B, Milano)
16.00/19.00 dal martedì al sabato e al mattino su richiesta (chiuso 1 e 2 novembre)

 

For the images: © Joel Meyerowitz. Published under fair use principle.

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Nudi contro l’omofobia e il cancro al seno

La squadra maschile di canottaggio lotta contro l’omofobia, abbracciando il progetto “Sport allies” insieme all’Educational Action Challenging Homophobia. Quella femminile si batte per il cancro al seno. I ragazzi e le ragazze dell’università di Warwick si spogliano per i calendari 2014, i cui proventi verranno devoluti ad associazioni di beneficenza.

Giunti alla quinta edizione, questi calendari nacquero anni fa quasi per scherzo. Poi, il boom delle edizioni dell’anno scorso. “Quando l’abbiamo creato non avevamo idea che potesse avere un così largo seguito – si legge sul sito – vogliamo creare dei contenuti accessibili ai giovani in tutto il mondo e fornirgli i contenuti di cui hanno bisogno”.

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Da questa sera, su SKY Arte HD il programma Contact

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A partire da questa sera alle 21.10, SKY Arte HD (canali 130 e 400) proporrà un nuovo programma dal titolo Contact, che mette a fuoco alcune delle testimonianze fotografiche più celebri al mondo.

Si parte con un primo episodio dedicato alla leggenda di Muhammed Alì, il pugile campione immortalato e raccontato dagli scatti di Thomas Hoepker.

Magnum foto: Ali. Un pugno al sistema questa sera alle 21.10 su Sky Arte HD 

Ha appena 24 anni ed è già una leggenda dello sport. Ha conquistato la cintura di campione mondiale dei pesi massimi di pugilato e l’ha difesa strenuamente, mettendo a tappeto un avversario granitico come Sonny Liston. È una figura di incredibile carisma, simbolo di rivalsa per un’intera generazione; mette la sua fama a servizio di tenaci battaglie per l’emancipazione e l’uguaglianza, diventando ben presto un campione in difesa dei diritti umani.

Un combattente nato, sopra e fuori dal ring: Muhammad Ali è, nel 1966, l’uomo del momento. Come tale viene immortalato, in una serie di scatti divenuti leggendari. Il mitico Cassius Clay è protagonista della prima puntata di Contact, la serie che mette a fuoco grazie alla testimonianza dei protagonisti alcune tra le fotografie più celebri della storia. A evocare quei giorni il reporter tedesco Thomas Hoepker, autore con la propria Leica di una delle immagini simbolo del XX secolo.

Ali guarda dritto in camera e sferra uno dei suoi portentosi diretti destri: il pugno si ferma apochi millimetri dalla lente, restando impresso sulla pellicola con tutta la carica adrenalinica di uno strepitoso gesto sportivo. Che sa essere al tempo stesso simbolo di reazione e protesta nei confronti di una società, quella americana, gravata dall’onta del razzismo. Il colpo del pugile è allora un attacco al sistema, un meraviglioso grido di libertà.
È entrato nella storica agenzia Magnum nel 1964, Thomas Hoepker, e da allora non l’ha mai lasciata, guidandola in veste di presidente dal 2003 al 2006. Nelle sue parole il ricordo dell’incontro con Ali, i dettagli del loro rapporto e il contesto nel quale venne scattata la serie di fotografie che ha consegnato entrambi all’eternità. La ricostruzione precisissima di una pagina di Storia coinvolgente ed emozionante.

La curiosità – Quattro volte campione del mondo dei pesi massimi nelle diverse categorie WBC e WBA, una a corone unificate; medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma 1960, forte di un record di 56 vittorie su 61 incontri disputati da professionista. I numeri incoronano Muhammad Ali come una leggenda assoluta della boxe. Solo un uomo può vantare l’onore di averlo messo ko: si tratta di Larry Holmes, nato sportivamente come sparring partner dello stesso campione cui infligge, nel1980, la più rovinosa sconfitta della sua carriera.

Trailer della puntata: http://vimeo.com/62327911

Pull & Bear – Spring/Summer 2012 Campaign

L’Estate Pull & Bear è espressa nelle fotografie e nel nuovo romantico video della compagnia, ambientato in riva a un mare durante il tramonto, dove una serie di giovani modelli e modelle scherzano con l’acqua, si tuffano, sorridono, passeggiano; il tutto sulle note dolci e rassicuranti di “Lay your head down” di Keren Ann.

Questa volta l’occhio è concentrato su Marlon Texeira, super top model brasiliano che sta velocemente scalando la classifica degli uomini più richiesti in passerella e nelle campagne fotografiche. Pull & Bear è da sempre attento a scovare e utlizzare i volti più affascinanti come testimonial, e anche questa volta grazie a Marlon non fa eccezione.

Oltre a lui, nella campagna troviamo anche Dorte, Mariana Santana, Florian Van Bael, Tom Lander.

Qui sotto trovate tutte le immagini, seguite dal video.



















Pull&Bear . SS 2012 Campaign from Pull&Bear on Vimeo.

Robert Mapplethorpe in mostra alla fondazione Forma

La fondazione Forma di Milano (Piazza Tito Lucrezio Caro, 1) presenta, fino al 9 Aprile 2012, una mostra personale del grande fotografo Robert Mapplethorpe, con scatti provenienti direttamente dalla Robert Mapplethorpe Foundation, il più grande archivio dedicato all’artista scomparso nel 1989.

Lucido testimone del panorama americano degli anni ’70 e ’80, Mapplethorpe fotografò gli esponenti della musica del periodo (soprattutto Patti Smith, che gli fu grande amica), ma anche e soprattutto la realtà omosessuale nei suoi molteplici aspetti, con numerosi scatti di nudo maschile che sono il suo genere stilistico più caratterizzante. In questa mostra esclusiva, unica in Italia, vengono presentati sia i nudi che i ritratti, ma ampio spazio è lasciato anche alla fotografia still life di nature morte, che Mapplethorpe intraprese con grande successo. Attraverso le immagini si potrà compiere un viaggio che ripercorre non solo la carriera e la vita privata di un grande artista, ma anche i mutamenti culturali dell’america beat, con i suoi miti e le sue stravaganze.

In questa pagina troverete i dettagli dell’evento.

For the images: © The Robert Mapplethorpe Foundation. Published under fair use principle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

iMAG 2.0 – L’inizio di una nuova era

È stata dura, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Sono serviti diversi mesi, qualche sforzo, un po’ di ricerche per trovare un tema adatto che ci piacesse, ma finalmente possiamo annunciare con fierezza che il nuovo sito di iMAG è finalmente pronto!!!!!!

Avevamo annunciato che, con la rivisitazione grafica, avremmo anche cambiato il concept del nostro magazine. E in effetti è così, apporteremo delle modifiche graduali che lo renderanno più adatto ai tempi che corrono. La rivista sfogliabile online, abbinata alla sua versione cartacea, passerà da mezzo principale a costola secondaria del progetto iMAG, che mirerà da oggi in poi a trasformarsi in una vera e propria galleria virtuale per artisti amatoriali, oltre a proporre i consueti approfondimenti su tutti quei fotografi che invece operano nel campo da tempo. Un nuovo trampolino, dunque, per coloro che vorranno farsi conoscere attraverso il web, e al tempo stesso confrontarsi con altri giovani artigiani dell’immagine.

Le modalità di questa rivoluzione diverranno chiare pian piano. Per ora il sito si presenta in tutta la sua nuova e sfavillante veste grafica, riproponendo i vecchi articoli e inserendoli in un’architettura nuova, più completa. Nella homepage saranno ben visibili, al centro, quelli che ci piace chiamare “i nostri artisti“, ovvero coloro che si sono presentati al magazine con il proprio portfolio di lavori. Le notizie, gli eventi, e tutto quanto è inerente all’arte, è finito invece nella sezione “blog“, che vi fornirà una visione d’insieme del mondo artistico odierno. Come sempre, se vorrete partecipare, la pagina da cliccare è quella denominata “submissions“: per ora vige ancora il vecchio contratto di partecipazione, anche se presto lo aggiorneremo in modo da chiarire le possibilità offerte a coloro che vorranno spedirci le proprie immagini.

L’augurio è che questo rinnovamento possa piacervi e ci aiuti sempre più a crescere e a trovare fan. La nostra speranza è di riuscire, in questo modo, ad aggiornare con costanza il sito per fornirvi quasi quotidianamente degli spunti d’arte.

Nel salutarvi, vi ricordo che il sito è in beta testing, quindi se vorrete segnalarci qualsiasi errore saremo ben felici di porvi rimedio.

Grazie ancora per il vostro affetto, anche questo nuovo iMAG è per voi.

Buona lettura!

 

Andrea Palla

Steve Jobs 1955-2011

Oggi, se me lo permettete, vorrei parlare della storia di un uomo che, in qualche modo, non ha paragoni. La storia di un innovatore, di un abile pubblicitario, di un sognatore e – perchè no – di una persona furba con una grande mente. Steve Jobs è morto, a soli 56 anni, e con lui si chiude un ciclo importante non solo per il mondo informatico, ma per la società intera. Se ne va così, in un silenzio atipico rispetto al clamore che sapeva suscitare ogni volta che saliva sul palco di Cupertino, e con la maestria di un prestigiatore scopriva le sue carte e i suoi trucchi, in uno spettacolo di novità che non poteva lasciare indifferenti.
Nato da un padre di origine siriana che lo aveva abbandonato molto piccolo (e chissà quanto si sarà pentito di aver disconosciuto un genio), Jobs crebbe nella Silicon Valley californiana, patria indiscussa dei geni informatici. Ma geni si nasce, non si diventa; e così la sua personalità forte e propositiva è forse più dono della natura che qualità associabile alla provenienza geografica.
Fondatore e poi rifondatore della Apple, la società che negli ultimi anni è riuscita a balzare al primo posto nelle quotazioni in borsa, superando nomi del calibro di Microsoft, Google, e addirittura la petrolifera Exxon Mobile, Steve Jobs non deve essere ricordato solo come l’inventore dell’iPhone, ma come un vero e proprio creatore di idee rivoluzionarie.
La sua avventura inizia nel 1976 quando, insieme a Steve Wozniak e Ronald Wayne, fonda la società della mela. Costretto a sfidare colossi come Microsoft e IBM, la Apple non riesce a imporsi nel mercato e rimane un’azienda di nicchia, ma Jobs da subito si dimostra pioniere dell’informatica, immaginando un mondo in cui tutti possano possedere un computer in casa. È la strada che apre al Personal Computer, resa possibile sia da IBM che da Apple stessa che nel 1984 inventa Macintosh, un sistema operativo che puntava tutto sulla semplicità d’uso e su un impatto grafico molto affascinante. Nel 1985 una crisi interna porta a molti licenziamenti, tra qui quello dello stesso Jobs che lascerà l’azienda da lui costruita per dedicarsi ad altri progetti. Fonda la Pixar, prima grande potenza dell’animazione digitale (poi acquistata dal colosso Disney), scrivendo una nuova pagina nell’intrattenimento filmico, e riuscendo a trasformare l’animazione in un gioco anche per grandi. Nel 1996 a seguito di un’acquisizione rientra in Apple, in un’azienda ormai sull’orlo del fallimento, priva di qualsiasi intuizione per tirarsi fuori dalla crisi. Ed è qui che Jobs diventa grande, superando se stesso: in pochi anni inventa con il suo staff i device più in voga del presente, modificando completamente l’industria informatica, musicale e telefonica. Il suo iMac ruba spazio all’onnipresente PC, diventando il computer prediletto dai giovani, in virtù della sua fruibilità. iPod e iTunes spazzano via walkman e lettori cd, in una rivoluzione che colpisce non solo i supporti musicali, ma la stessa industria di settore, modificando il modo in cui si distribuisce la musica. E infine iPhone apre la strada agli smartphone, trasformando i telefoni cellulari da apparati per la comunicazione a veri e propri computer portatili, virtualmente in grado di fare tutto.
La sua ultima sfida era incominciata un paio di anni fa con iPad, con l’idea che anche la lettura potesse essere portata su uno schermo digitale. Lascia il compito di proseguire questa sua tenace scalata al collega Tim Cook, abile stratega e uomo di marketing, ma forse privo di quell’eleganza e di quel guizzo vitale che contraddistingueva Jobs.
Che si appoggiasse il suo modo di lavorare o meno, è innegabile che la sua figura si ponga come una delle più importanti del secolo scorso, se non addirittura del giovane secolo presente, in virtù della sua incredibile capacità di trasformare oggetti in desideri, e di rendere la sua filosofia una vera e propria religione per schiere di appassionati. Oggi tutto il mondo gli rende omaggio, partendo dai suoi colleghi ed arrivando alla gente comune che adora incessantemente i suoi prodotti (e con loro l’uomo che li aveva ideati), senza tralasciare quella larga fetta di persone e aziende che erano stati i rivali di una vita (Bill Gates in primis), ma che come tutti non possono che inchinarsi al suo potere e al suo ricordo.
Per tutto questo, per essere stato pioniere e fautore di questa rivoluzione digitale, e per averci regalato un nuovo modo di interagire, gli saremo tutti riconoscenti. Oggi se ne va un mito e probabilmente un giorno qualcuno racconterà la sua storia. Nel frattempo noi tutti ci godremo la sua inventiva, giocando non solo con gli oggetti da lui creati e venduti, ma con tutti i prodotti di quelle aziende che – in maniera più o meno meritevole – avevano abbracciato il suo sogno.

Attenzione!

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