“Carnaval na Lona”, il carnevale secondo Rogério Reis
Rogério Reis è un fotografo brasiliano, inizialmente formatisi come giornalista, divenuto famoso nel 2002 quando un suo ritratto del poeta Carlos Drummond de Andrade venne utilizzato come base per la famosa scultura dell’artista Leo Santana.
Tra i suoi lavori più celebri, Carnival na Lona resta una delle serie più belle e significative. Nell’arco di 14 anni, Reis fotografò diversi partecipanti al carnevale carioca, evidenziandone in maniera preponderante le caratteristiche fisiche celate dietro ai costumi più complessi e fantasiosi. Quello che ne consegue è una serie di ritratti emblematici, che trasfigurano il semplice animo umano per trasformare i soggetti in personaggi grezzi, fiabeschi, talvolta persino freak, in un’ottica complessiva che ricorda, a tratti, le serie circensi di Diane Arbus. Tuttavia, nelle opere di Reis non è tanto la ricerca della mostruosità ad emergere, quanto piuttosto uno spiccato interesse sull’eccentricità e sulla stravaganza, in una sorta di realtà contaminata dalla fantasia, che modifica le forme del vero per definirne di nuove, quasi fossero mitologiche figure inventate.
“Il telo è il sipario tra l’eccesso è il visibile”, scrisse il fotografo nell’introduzione del suo libro Na Lona. L’eccesso, per Reis, rimanda alla moltitudine di persone in festa tra le strade cittadine durante il carnevale, volti e personaggi che stimolarono la sua curiosità fotografica. Il piccolo palco isolato dove Reis li ritrasse, provvisto di un telo (“lona”) a nascondere la realtà circostante, funge nel complesso da set teatrale in cui vengono messe in scena personalità ambigue ed estroverse, slegate da un contesto, che raccontano la propria storia esclusivamente grazie agli sguardi, alle pose, ai costumi.
In queste foto l’interesse è completamente rivolto verso figure strane ma concrete, che mescolano la normalità dei volti alla follia delle vesti, in un sottile gioco di affascinante e talvolta sgradevole finzione.
Sotto certi aspetti, le fotografie di Reis non rimandano esplicitamente all’anima festaiola del carnevale, ma esprimono talvolta elementi malinconici, tristi, deliranti. L’utilizzo di un bianco e nero drammatico mette in risalto quelle caratteristiche fisiche ambivalenti che contribuiscono a dare alle immagini una grande valenza non solo stilistica, ma anche umana, come se l’occhio del fotografo cogliesse in maniera precisa i difetti umani, portandoli in scena come protagonisti assoluti.
In definitiva, quel che emerge da questi scatti non è eslusivamente l’immenso insieme di caratteri, allegorie, fantasie, ma anche e soprattutto un’idea più radicata e profonda del concetto di trasgressione, non intesa come rovesciamento dei valori a fini scandalistici, ma piuttosto come espressione più pura e positiva della follia umana.