Omaggio ad Alda Merini

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Ieri, primo novembre duemilaenove, se n’è andata quella che probabilmente è stata la maggiore poetessa italiana di tutti i tempi, sicuramente la più illustre del novecento.

Nata a Milano nel 1931, Alda Merini ebbe una vita tormentata, dentro e fuori da quei manicomi che oggi non esistono più e che in qualche modo contribuirono a forgiare la sua personalità forte e caparbia. Ella fu viva testimone del dolore, ma mai sua vittima. Nelle sue parole, vibranti e intense, asciutte e significanti, seppe sempre mantenere viva la forza e la necessità dell’andare avanti, del percorrere una strada complicata ma piena di soddisfazioni, seppur lastricata di soffocanti angosce.

Se ci sono cose che rimangono di questa donna tenace e al tempo stesso fragile, sono proprio le parole dolci e sublimi, scaturite da una mente che – parole sue – “grazie a Dio è riuscita a non dimenticare mai”, anche quando questo ricordare ha significato mantenere vivi i ricordi legati alla sofferenza.

Amante della vita, amante degli uomini, nei suoi versi mise in gioco tutta se stessa: cantò i suoi patimenti, le sue angosce, ma anche la sua travolgente dolcezza, il suo desiderio e, negli ultimi anni, il suo riavvicinamento alla fede e a Dio.

A lei un doveroso omaggio, fatto di fotografie – a volte tenere, a volte provocanti – mescolate alle parole – le sue parole – che continueranno nel tempo ad animare i cuori e le menti di chiunque l’abbia amata, letta, ascoltata.

Dovunque tu sia ora: grazie, Ada.

Il copyright delle immagini appartiene ai rispettivi Autori. Esse sono pubblicate con logica Fair Use.

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Addio, profondo vecchio,
fatta di vertici che tutti hanno veduto.
Erano spine che entravano nell’anima
e diventavano fiori.
Abbiamo perso il cuore di Dio, il suo linguaggio:
eppure la sera
quando io dormo sola
allungo la mano verso di te.
E sei ancora lì che palpiti,
e non vuoi e non puoi morire.

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Ti aspetto e ogni giorno
mi spengo poco per volta
e ho dimenticato il tuo volto.
mi chiedono se la mia disperazione
sia pari alla tua assenza
no è qualcosa di più
è un gesto di morte fissa
che non ti so regalare.

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Ci sono notti
che non accadono mai
e tu le cerchi
muovendo le labbra.
Poi t’immagini seduto
al posto degli dèi.
E non sai dire
dove stia il sacrilegio:
se nel ripudio
dell’età adulta
che nulla perdona
o nella brama
d’essere immortale
per vivere infinite
attese di notti
che non accadono mai.

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Anima che accarezzo a sera, e sei un cane
stanco, ma un cane sempre fedele. Un cane
che balbetta un nome: padrone, padrone mio.
Non lasciarmi anima cane, non lasciarmi mai.

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Lascio a te queste impronte sulla terra
tenere dolci, che si possa dire:
qui è passata una gemma o una tempesta,
una donna che avida di dire
disse cose notturne e delicate,
una donna che non fu mai amata.
Qui passò forse una furiosa bestia
avida sete che dette tempesta
alla terra, a ogni clima, al firmamento,
ma qui passò soltanto il mio tormento.

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Apro la sigaretta
come fosse una foglia di tabacco
e aspiro avidamente
l’assenza della tua vita.
È così bello sentirti fuori,
desideroso di vedermi
e non mai ascoltato.
Sono crudele, lo so
ma il gergo dei poeti è questo:
un lungo silenzio acceso
dopo un lunghissimo bacio.

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